Solitamente quando scrivo un articolo cerco di rimanere il più distaccata possibile, utilizzando il sarcasmo giusto, al momento giusto e soprattutto quando voglio far arrivare un messaggio che, apertis verbis, potrebbe essere di per sé pericoloso.
Con questo pezzo ho deciso di uscire dagli schemi per dire la mia su di un delitto per il quale ancora non mi sono pronunciata. In sede “ufficiale”, si intende. La mia passione per il crimine è risalente nel tempo. Alle commedie e ai romanzi rosa ho sempre preferito gli omicidi e i gialli. Ma nel mio percorso di studi c’è stato un momento in cui ho capito che nella vita non avrei mai potuto fare a meno del crimine. Un momento in cui mi è stato chiaro che avrei dovuto (e voluto) farne la mia professione. In senso buono, si intende.
Era un noioso pomeriggio, all’epoca frequentavo sempre la facoltà di giurisprudenza dell’Università di Pisa e stavo preparando l’esame di diritto ecclesiastico (che col crimine ha ben poco a che fare). In una delle pause da studio, annoiata da quel libro rosso, facevo zapping in tv. Era un pomeriggio estivo e la programmazione offriva soltanto programmi gossippari (che detto tra noi forse erano peggio che l’esame di diritto ecclesiastico). Così decidevo di guardare il televideo, magari c’era un’ultim’ora che avrebbe potuto risollevare le sorti di quella giornata.
Qualcosa di stimolante su cui riflettere (non mi piace rilassarmi troppo, chi mi conosce lo sa). Fatto sta che un’ultim’ora c’era. E come se c’era. «Arrestato l’Assassino di Yara Gambirasio. Si chiama Massimo Giuseppe Bossetti». Tuffo al cuore. Iniziavo a cercare su tutti i canali. Niente. Nessuna edizione straordinaria che ancora riportasse la notizia. E allora prendo il telefono, apro facebook, filtro le ricerche. E lo trovo. Lo trovo lì, con il suo sguardo semi-angelico, gli occhi azzurro ghiaccio, seduto su un divanetto rosso insieme al suo gatto e al suo cane. Sono incredula. Il suo “profilo social” lo raffigurava felicemente sposato e con due meravigliosi figli. È stato in quel momento esatto che ho capito che ero una predestinata. Ho screenshottato le foto ai miei amici più cari scrivendo: «Questo è l’assassino di Yara». Le risposte incredule non tardarono ad arrivare: «Anna hai battuto anche i media perché la foto ancora non circola da nessuna parte».
Era il 2011. Era l’anno della svolta. Di lì ho iniziato ad organizzare il mio futuro e non ho mai mollato la vicenda della giovane ginnasta di Brembate.
Come dicevo, non esprimo mai direttamente le mie emozioni quando scrivo. Ma, dopo un lungo silenzio sull’argomento e al comparire dell’ennesimo colpo di scena, non posso più tacere. Massimo Giuseppe Bossetti – muratore di Mapello, sposato e con due figli – ha ucciso Yara Gambirasio al di là di ogni ragionevole dubbio. Tre gradi di giudizio e una condanna definitiva in un Paese civile dovrebbero bastare. Dovrebbero. In questi anni ne ho sentite di tutti i colori. Mi sono trovata (casualmente perché io ero solo andata a vedere un convegno sul ruolo della prova scientifica nel processo penale) in un covo dei c.d. Bossettiani che da anni ne sostenevano (e ne sostengono) l’innocenza. Ho sentito dire che il DNA c’era stato messo di proposito sugli slip di Yara e, ancor peggio, che vi era finito perché Bossetti aveva urinato nelle vicinanze e dunque una folata di vento ce lo aveva trasportato. Per tutti questi motivi la sua condanna era solamente una condanna indiziaria. E per una donna di legge certe argomentazioni (se così possiamo definirle) sono aberranti.
A cavalcare l’onda di questi movimenti di “rivisitazione della giustizia” (come li chiamo io), c’è stata anche una scatenata Ester Arzuffi, madre di Bossetti nonché (suo malgrado) famosa adultera del bergamasco. La prova scientifica aveva dimostrato che nessuno dei suoi tre figli era stato concepito con il marito ma questo, evidentemente, non era sufficiente. Farfugliando e vaneggiando che era stato il ginecologo a metterla incinta con l’inseminazione artificiale (oltretutto quando ha concepito i figli neppure si sapeva cosa fosse) si è beccata sfilze di querele. Ma non ha mai mollato. Ha rilasciato dichiarazioni sui principali quotidiani italiani. Senza vergogna e senza paura. Adesso che non c’è più, possiamo solo augurarle di riposare in pace senza il peso degli “e(o)rrori terreni”.
Tra comizi in giro per l’Italia e su piattaforme social (ove sono stati creati gruppi a sostegno di Bossetti) ne abbiamo sentite di tutti i colori, spesso perdendo di vista il fatto che Yara Gambirasio ha perso la vita a soli 13 anni e che è stata lasciata morire in una sera di fine novembre di freddo e di stenti. Sola e in un campo.
In questi anni, insomma, la sua triste storia è stata spesso “surclassata” da vere e proprie campagne a sostegno dell’innocenza di Bossetti. D’altronde il DNA vola, lo possono anche trasportare le api (giuro, nel covo dei bossettiani, ho sentito dire anche questo). Forse la compostezza dei genitori di Yara ha dato adìto a questo furor di popolo che, non si sa su che base, continua a proclamare l’innocenza del muratore di Mapello e grida all’ingiustizia. L’ultima che ho letto, e che mi ha indotto questa mattina a scrivere, è che l’assassino di Yara sarebbe in realtà figlio della ex colf di casa Gambirasio. Anch’egli infatti sarebbe imparentato con Giuseppe Guerinoni e reo – secondo il tribunal popolare – di essere stato tra i primi a rendere spontaneamente il proprio DNA. DNA vicino a quello di Guerinoni per linea maschile ma non compatibile con quello di Ignoto 1. Sempre secondo questa inchiesta, il figlio della colf dei Gambirasio a maggior ragione avrebbe dovuto essere l’assassino di Yara (d’altronde la prova scientifica non ha valore. D’altronde 2+2, lo sappiamo, spesso fa 5) perché lo conosceva e siccome gli assassini son sempre persone vicine alla vittima, allora è stato lui. Questo è veramente troppo. Tre gradi di giudizio, DNA in quantità industriale, ricerche incontrovertibili sul pc di proprietà “tredicenni vergini con capelli rossi”, anni ed anni di indagini e di lavoro certosino di uno dei PM più competenti in Italia, Letizia Ruggeri, non potevano certo condurre ad un esisto diverso. Massimo Giuseppe Bossetti ha ucciso Yara Gambirasio. Al di là di ogni ragionevole dubbio.
Bossettiani, se proprio non volete rassegnarvi al fatto che gli occhi d’angelo del vostro protetto siano quelli di uno spietato assassino, rispettate almeno i Gambirasio. Rispettate la piccola Yara che adesso può solo accontentarsi di danzare tra le stelle.